La crescita dell’Università continuava, raggiungendo trentotto cattedre nel 1808 quando, e per l’intero periodo napoleonico, venne a tacere del tutto con conseguenze drammatiche che impoverirono lo Studio. A Restaurazione avvenuta, essa riapriva faticosamente i suoi insegnamenti, ma nella bolla di Leone XII, del 5 settembre 1824, Quod divina sapientia (che riordinava gli Studi superiori) l’Università di Urbino non venne compresa affatto, soprattutto per il suo disastroso bilancio economico.
Solo le pressioni del cardinale Giuseppe Albani e l’intervento finanziario del Comune la salvarono da quella decretata (e nella pratica mai messa in atto) soppressione e, nel 1826, la Sacra Congregazione degli Studi la dichiarò meritevole di essere compresa tra le università secondarie (assieme a quelle di Ferrara, Perugia, Macerata, Camerino e Fermo).
Provvista di buoni docenti, grazie al sistema dei concorsi prescritti dalla bolla di Leone XII, l’Università urbinate riprese i propri corsi nel novembre del 1826.
L’importante momento è sottolineato dalla nascita del gonfalone dell’Università che rappresenta Maria Immacolata (dogma promulgato da Pio IX solo nel 1854) sotto i cui piedi è posto lo stemma dei Montefeltro a ribadire visivamente la nascita dell’università al tempo dell’ultimo duca della casata, Guidubaldo.
I moti del 1830-31 portarono ad una brevissima chiusura dell’Ateneo: un gruppo di docenti partecipò al Comitato provinciale costituito dagli insorti che, con decreto 4 marzo 1831, decretava la fine della giurisdizione ecclesiastica sull’Università, ma il 4 agosto 1832 il cardinale segretario di Stato Bernetti la dichiarava Stabilimento provinciale, dotandola di un notevole contributo annuo a carico della Legazione che consentì l’acquisto di strumenti moderni per i gabinetti scientifici; il restauro e l’ampliamento di Palazzo Bonaventura (antica dimora dei Montefeltro e ancor oggi Sede centrale dell’Università e della Biblioteca allora organicamente costituita).
Il primo provvedimento post-unitario del regio commissario Lorenzo Valerio devolveva, il 3 gennaio 1861, alla Biblioteca i libri ed i documenti scientifici posseduti dagli Ordini religiosi soppressi nell’intera provincia di Pesaro-Urbino.
Il regio decreto del 23 ottobre 1862, n. 912 ne decretava il nuovo assetto giuridico, dichiarandola Università libera ed incaricando il Consiglio provinciale di compilarne lo Statuto che doveva essere sottoposto all’approvazione del Ministero della Pubblica Istruzione, stabilendo che sarebbe stata sottoposta al Regolamento generale delle Università del Regno per ciò che concerneva il conferimento dei titoli.
Lo Statuto venne approvato il 23 ottobre 1863. L’ Ateneo risultò composto dalla Facoltà di Legge, dal primo biennio della Facoltà di Fisica e matematica, dal Corso Chimico-farmaceutico e dai Corsi di Flebotomia e di Ostetricia. Con il contributo del Municipio fu riaperto, nel gennaio 1895, il Corso di Medicina veterinaria.
L’Università aveva un rettore o reggente, un Consiglio di reggenza composto dai presidi delle due Facoltà e da due professori nominati annualmente dal Consiglio provinciale e da un corpo accademico ordinato secondo le norme della legge Casati (13 novembre 1859).
Così organizzata e finanziata da una rilevante somma della Provincia, l’Università cominciò ad operare, acquistando buona fama, come è testimoniato dai Discorsi rettorali, conservati a partire dal 1867. Ma, ancora una volta, sia le difficoltà economiche degli enti finanziatori (Provincia e Municipio) sia i cambiamenti introdotti a livello nazionale, portarono ad una serie di modifiche nel 1885: le autorità accademiche presero la coraggiosa decisione di sopprimere alcuni corsi e facoltà, motivando la loro scelta con la scarsità degli studenti che vi accedevano e con la necessità di sostenere ed aumentare l’ottima crescita della Facoltà di Giurisprudenza e delle due Scuole di Farmacia e di Ostetricia, che rendevano necessari maggiori investimenti, aumentandone le cattedre.
L’Ateneo diventava Libera Università Provinciale. La costituzione degli organi accademici e l’ordinamento degli studi si adeguava alla normativa nazionale.